Per scoprire la storia e l’evoluzione degli incubatori bisogna partire dalla loro importanza negli ultimi anni.
In questi ultimi l’attenzione è sempre più rivolta verso l’imprenditorialità. Considerato il motore di sviluppo economico e sociale e, di conseguenza anche le attività di supporto ad essa connesse godono di un notevole interesse.
Un settore in crescita e in evoluzione, in particolare a seguito dell’ingresso nell’ecosistema di soggetti aventi nuovi modelli di business e soggetti attenti all’impatto sociale e ambientale delle imprese.
Gli incubatori e acceleratori d’impresa risultano essere sempre più fondamentali negli ecosistemi imprenditoriali nazionali e locali.
In virtù del ruolo che ricoprono gli incubatori/acceleratori, anche le università e le grandi aziende corporate hanno iniziato a creare i loro
incubatori/acceleratori.
La prima azienda nota per usare la parola “incubatore” fu Y Combinator, che fu aperta a Cambridge, nel Massachusetts, da Paul Graham nel 2005, e successivamente si trasferì nella Silicon Valley.
Negli anni, altri programmi di incubazione sono emersi negli Stati Uniti, tra cui Techstars (Boulder, CO), 500 Startup (Mountain View, California) e MassChallenge (Boston, Massachusetts).
Con la crescente popolarità di questi progetti negli Stati Uniti, anche in Europa iniziarono a nascere i primi incubatori per supportare un ecosistema di startup in netta crescita. A partire dal 2011 nacquero Seedcamp (con sede a Londra) e Startupbootcamp (acceleratore paneuropeo con sede a Copenaghen, Amsterdam, Berlino, Israele, Eindhoven, Istanbul e Londra).
Gli acceleratori sono diventati una delle principali fonti di startup per gli investitori tradizionali: nel 2015, un terzo delle startup nate negli Stati Uniti è passato attraverso un incubatore.
In Italia c’è stato un forte sostegno da parte del settore pubblico, per lo sviluppo degli incubatori. Questo per favorire la nascita delle imprese innovative, soprattutto nelle aree economicamente più svantaggiate del paese.
Solo alla fine degli anni Novanta, hanno iniziato a diffondersi anche in Italia gli incubatori universitari. Orientati al trasferimento tecnologico dal mondo accademico al mondo imprenditoriale. Dal Duemila in avanti hanno cominciato a nascere incubatori di natura privata. Questi ultimi specializzati prevalentemente nel settore IT e che svolgono in taluni casi anche il ruolo di venture capitalist.
Il Social Innovation Monitor (SIM) del politecnico di Torino, ha rilasciato un documento aggiornato al 2020 sulla situazione degli incubatori e acceleratori Italiani. Un analisi che offre una mappatura a livello nazionale di queste attività.
In Italia ci sono 218 incubatori, di cui 38 sono certificati dal MISE, 27 universitari e 17 sono incubatori di corporate.
Dalla lettura dei dati emerge che:
-circa il 57% degli incubatori si trova nell’Italia settentrionale
-il 26% del totale delle attività si trova in Lombardia
-l’Emilia-Romagna con il 13 %
-Lazio 9% sul totale
-Il Mezzogiorno e le isole, invece, sono le zone con il minor numero di incubatori presenti.
I dati ci dicono che circa il 60% degli incubatori italiani ha natura privata. Solo il 16% è gestito esclusivamente da amministrazioni o Enti pubblici. Ad aumentare sono anche i Mixed incubator, mentre i Social incubator sono leggermente diminuiti.
L’ecosistema degli incubatori italiani si è consolidato anche in termini di dipendenti: i 197 incubatori italiani occupano circa 1100 dipendenti.
Come sottolineato dal professor Paolo Landoni del Politecnico di Torino, direttore scientifico della ricerca, “ci aspettavamo potesse iniziare ad esserci un rallentamento del fenomeno di incubazione e accelerazione dopo la forte crescita degli ultimi anni, invece nascono nuovi incubatori e acceleratori e molti di quelli esistenti si consolidano in termini di fatturato e numero di imprese incubate. Mi fa piacere sottolineare che la crescita più significativa si registra nel Sud Italia”.
Più della metà degli incubatori ha supportato organizzazioni a significativo impatto sociale (51,9%). Per quanto riguarda l’analisi dei settori di appartenenza, rispetto all’anno scorso i “social incubator” hanno fatto registrare un aumento del numero di realtà che operano nel settore legato alla protezione dell’ambiente (da 28 a 72). Rimangono ben rappresentati i settori Salute&Benessere (38 realtà) e Cultura, arti e artigianato (31 realtà).
Gli incubatori italiani ritengono molto rilevante offrire servizi di accompagnamento manageriale, supporto nello sviluppo di relazioni (networking) e supporto alla ricerca di finanziamenti.
Rispetto all’anno precedente la media dei finanziamenti ricevuti dalle organizzazioni incubate è cresciuto da 1,18 milioni di euro a 3,30 milioni di euro (+179%). Il 27% degli incubatori italiani detiene quote societarie nelle organizzazioni incubate.
Rispetto all’anno precedente, il numero delle startup incubate in Italia è passato da circa 2400 a circa 2800 (+15%). Si conferma il dato del 40,4 % delle start up incubate che operano in servizi di informazione e comunicazione. Il secondo settore più rappresentato rimane quello legato ad attività professionali, scientifiche e tecniche, con il 27,2% del totale. Il terzo settore maggiormente rappresentato è il manifatturiero con il 19,4%.
Più del 70% delle startup incubate si trova nell’Italia settentrionale, ma anche in questo caso la crescita maggiore si registra al Sud.
Il secondo settore più rappresentato rimane quello legato ad attività professionali, scientifiche e tecniche, con il 27,2% del totale. Il terzo settore maggiormente rappresentato è il manifatturiero con il 19,4%.
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